Organi vitali by F. Gonzàlez-Crussì

Organi vitali by F. Gonzàlez-Crussì

autore:F. Gonzàlez-Crussì [Gonzàlez-Crussì, F.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2018-07-12T16:00:00+00:00


RIPRODUTTIVO

PRIMA PARTE: FEMMINILE

Il nostro primo alloggio e la sua architettura

Non appena le concezioni fantastiche delle trascorse età dell’ignoranza vennero mandate in soffitta per fare posto alle prime nozioni esatte a riguardo dell’anatomia umana, l’attenzione degli eruditi si volse all’utero, il luogo dove si svolge il prodigioso processo di formazione dell’embrione. Né invano il filosofo giudaico Filone di Alessandria (30 a.C.-45 d.C.) ebbe a designarlo con il risonante appellativo di έργαστήριον φύσεως («fucina di maturazione»). All’interno di questa «fucina» sono forgiati i nuovi esseri umani, bastando questo solo fatto a renderla meritevole del più attento scrutinio. Homo sapiens ha sempre infatti peccato principalmente d’orgoglio: il più umile rappresentante della nostra specie è intimamente convinto che l’Onnipotente avesse lui o lei in mente l’ultimo giorno della Creazione. Posto che l’Universo abbia un fine, un’asserzione tanto lusinghiera quanto condivisa sostiene che esso consista nel soddisfare le esigenze degli esseri umani. Con tali premesse, era logico attendersi che il sito dove siamo fatti, la fucina della natura, non altro possa essere che sublime e sontuoso.

Disdetta! Lungi da un’ambientazione principesca, la nostra prima culla è nell’utero, un viscere cavo piuttosto prosaico e dalle spesse pareti muscolari; un organo a forma approssimativa di cono rovesciato, appiattito in senso dorso-ventrale e recante un leggero restringimento circolare sotto parte mediana, l’istmo, che separa la cervice, inferiore, dal «corpo» dell’utero terminato in alto dal «fondo». Alcuni anatomisti ne hanno paragonato la sagoma a quella di una zucca o di una pera capovolta, ampia in cima e stretta alla base. Sorano d’Efeso, il più eminente ostetrico e ginecologo dell’antichità (vissuto nella prima metà del secondo secolo d.C.), scrisse che somigliava a una «ventosa di uso medico»1 (cucurbitula), ma la sostanza è la stessa, perché analoga coppetta era presso i Romani sagomata a zucca o piriforme. Esso invero sembrava a Ippocrate quale un «orcio» o una «giara» (Epidemie, II, 6, 5), e chiunque sia l’autore del De genitura nel Corpus Hippocraticum, paragonò il ventre materno a un vaso in grado di plasmare l’embrione, ma anche di storpiarlo, qualora fosse l’utero malfatto oppure in una parte troppo stretto e quindi costrittivo.2

Si dice dell’imperatore Nerone che, procurata la morte della madre Agrippina, volesse vederne aperto il cadavere desiderando «guardare il luogo donde egli proveniva». In un incunabolo del 1450 conservato alla Bibliotèque nationale di Parigi, è raffigurata la scena come l’immaginò un artista del Medioevo. Il corpo della donna giace sul tavolo autoptico, con l’intestino che a festoni protrude dall’incisione che il chirurgo, il coltello stretto ancora nella destra, ha appena praticato. L’imperatore e un altro personaggio sono venuti a ispezionare il cadavere e vi si avvicinano, mentre il dissettore si fa indietro, rispettosamente nei confronti della persona del sovrano — ma anche per una comprensibile cautela, perché da soggetti alla Nerone era senz’altro consigliabile tenersi alla larga. Tutti quanti sono abbigliati in anacronistica foggia medioevale. Affermano alcuni — riferisce Tacito — che Nerone contemplasse le forme ignude della madre morta elogiandone la bellezza3 — un tocco inquietante di necrofilia incestuosa che si



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